Mentre scrivo è il 23 novembre 2020. Alzo gli occhi e l’orologio segna le 19:20. Ancora pochi minuti e quarant’anni fa, un terremoto di inaudita violenza, portò morte, sofferenza, paura, angoscia e buio nei cuori delle nostre genti. La precarietà, per molti giorni, rese non facile l’esistenza.
Oggi un’altra calamità si appropria della nostra vita. I sentimenti sono gli stessi. Sulla pandemia, al momento, l’unica certezza è l’incertezza, da quella scientifica a quella sociale ed economica. La prudenza e i decreti governativi, da marzo e per un lungo periodo, ci hanno tenuti confinati a casa. A giugno finalmente i primi risultati di questi sacrifici. Poi psicologicamente si scoppia. Comincia subito il tempo della rimozione e dello stordimento.
I tavolini dei bar si rimoltiplicano, le distanze si riducono in proporzione e pochi continuano ad operare con quella libertà responsabile, ispiratrice di azioni di salvaguardia e di buon senso. Inutili sono gli inviti, autorevoli e motivati, ad una solidarietà sociale, ispirati anche al non volere imporre ulteriori restrizioni. Una babele di voci e di notizie senza fondamento alimentano comportamenti irresponsabili. Il ritorno della malattia, con un coinvolgimento territoriale maggiore, è scontato. Il virus, che mai ci aveva lasciati, ringrazia e ricomincia di gran lena il suo traffico aggressivo, riportando incertezza, restrizioni, angoscia e paura.
Ma ad ottobre, in anticipo sui tempi, ecco abbellita la città, con luminarie e alberi di natale. Posti non solo nella pittoresca piazza Unità, ma novità rispetto al passato, anche davanti ai sagrati di tutte le chiese. La notizia viaggia sui media nazionali. Molti i commenti stringenti e opposti all’ottimismo dell’amministrazione comunale. Nel giorno in cui il triste bollettino dei morti, causati dalla pandemia, supera la soglia psicologica delle 50mila vittime, pensare al Natale è anacronistico. Così come era impensabile in quel terribile fine novembre di quarant’anni fa…
Ma non è mai inopportuna una riflessione pacata sul Natale, soprattutto sul suo significato più profondo.
“Sia la luce!”. Una luce che rompe l’oscurità e rischiari il cammino dell’uomo.
Albert Einstein, mentre descriveva le caratteristiche della luce, fece un significativo inciso: “La luce, ombra di Dio…”. Questo grande scienziato non ha esitato ad affermare che una persona è libera di non credere nei miracoli, ma, più studia il mistero dell’universo, più si rende conto che tutto è un miracolo nell’esistenza del cosmo e nella vita di ogni essere umano.
“L’Uni-verso” è parola che indica tensione, direzione, cammino verso l’Uno, verso “L’amor che move il sole e l’altre stelle (Paradiso, XXXIII, v. 145)”, così come l’ultimo verso della Divina Commedia di Dante Alighieri. Verso quell’Amore che è venuto sulla Terra per invitarci a contemplare il cielo, per aprirci all’Infinito.
“Sia la luce!” e da un lampo di luce infinitesimale, non ancora in essere il tempo e lo spazio, con il Big Bang, inizia il cammino dell’universo. Ed infine è plasmata anche la Terra per essere la culla dell’uomo. Poi, in una mangiatoia, la Luce del mondo s’incarna, per rischiarare le nostre tenebre interiori e invitarci a continuare noi stessi l’opera della creazione: “I cieli sono i cieli dell’Eterno, ma la terra Egli l’ha data ai figli degli uomini.” (Salmo 115, v.16).
La terra e tutto il creato sono messi nelle nostre mani per essere da noi goduti e tramandati alle future generazioni, migliorati, conquistati e custoditi con intelligenza, rispetto e amore. Così l’esortazione di papa Francesco nella sua enciclica “Laudato sii”, ispirata a quella bella preghiera di San Francesco. Sulla stessa linea si muovono molti scienziati, che vedono nell’universo, particolarmente nella Luce, un rimando a l’Eterno. Perfino fra gli astronauti provenienti da un regime dove l’ateismo era imposto, navigando oltre l’atmosfera terrestre, hanno avuto pensieri di fede, a cominciare da Gagarin, cristiano-ortodosso, che poco prima del suo volo, volle battezzare la figlia Elena e con la famiglia celebrava ogni anno il Natale. Neil Armstrong, il primo uomo a camminare sulla Luna, abbozzò così la sua fede nel Natale: “La cosa strabiliante non è che l’uomo sia arrivato a camminare sulla Luna, ma che Dio sia sceso a camminare sulla Terra”. Khalil Gibran scriveva: “Se ci fosse una sola stella nel firmamento, se un solo albero si innalzasse nella valle, anche allora avremmo la certezza della generosità dell’Infinito”.
Siamo certi, anche la “valle del covid”, con la stessa solidarietà che rese i giorni prima del Natale del 1980 meno amari e riempì i cuori di speranza, sarà colmata. Natale, festa della Luce che squarcia il buio nel cuore dell’uomo, oltre l’angoscia e la paura della pandemia, rischiari il nostro cammino e invada e sostenga le nostre anime e le nostre menti. Auguri
Ernesto Di Martino