1944, a Castello Doria sparisce la legna.
Il taglio indiscriminato dei cipressi del Cimitero (dopo aver già eliminato molti alberi in Villa Comunale e nelle strade cittadine) ha suscitato alcuni mesi fa molte critiche all’Amministrazione Mauri/D’Antonio, accentuatesi poi, nel corso di un’estate fra le più calde degli ultimi decenni, a causa delle quotidiane e diffuse lamentele da parte degli abituali frequentatori del camposanto.
In questo contesto hanno trovato ampio spazio le voci che davano per certa la notizia che il pregiato legno di risulta non fosse finito in discarica, ma a casa di qualche personaggio del Palazzo. Ad ottobre tali voci sono state ulteriormente alimentate dalle dichiarazioni in Consiglio Comunale di Marcello Ferrara e, poi, dalla successiva scoperta, da parte di Polizia locale e Carabinieri, di cipressi abbattuti in un terreno di cui è comproprietario un Consigliere di maggioranza, Pasquale Russo, manco a farlo apposta, consigliere delegato dal Sindaco Mauri a seguire la gestione del Cimitero.
Nel corso di uno dei tanti capannelli che, in Piazza Doria, commentavano criticamente questa vicenda, l’amico Raffaele Mauri, con il suo solito sorridente sarcasmo, affermava in modo categorico: “Ma, di cosa vi meravigliate? Non c’è niente di nuovo sotto il sole di Angri!”. Dopo qualche giorno il buon Raffaele mi fa avere dei documenti che attestavano la sparizione da Palazzo Doria, nell’immediato dopoguerra, dei seggi di legno massiccio, utilizzati dai Consiglieri comunali (oltre ad un grande e prezioso specchio, una volta presente nella stanza del Sindaco).
La scoperta del furto avvenne nell’ottobre 1944 da parte del dott. Giovanni Desiderio, medico dentista ed assessore della Giunta di cui era Sindaco l’avv. Francesco Adinolfi, allorché, in previsione delle elezioni, si decise di “ripristinare la vecchia e gloriosa sala consiliare”.
Quest’ultima frase è tratta dalla relazione scritta dal dott. Desiderio nel gennaio 1947 dopo aver condotto una sua personale indagine tra i dipendenti del Comune e gli operai della ditta Bove di Pagani che aveva effettuato i lavori di restauro al soffitto del Castello, dove appunto “erano depositati i suddetti seggi”.
Qualcuno, infatti, aveva fatto artatamente circolare la voce che erano stati gli operai della citata ditta (tra l’altro, tutti angresi) ad aver bruciato i seggi consiliari per liquefare l’asfalto. Il dott. Desiderio smonta questa ipotesi, vista la quantità minima di asfalto necessaria per i lavori e cita, altresì, le testimonianze dei dipendenti comunali e degli stessi operai, unanimi nell’affermare che fino al collaudo dei lavori i seggi si trovavano ancora nel soffitto.
Chi erano, allora, i colpevoli di questo “scempio fatto ad una proprietà comunale di un valore non insignificante? Il dott. Giovanni Desiderio, che doveva essere una persona molto seria ed attenta al bene pubblico, scrive: “Io personalmente non posso incolpare nessuno perché non ho la prova convincente, altrimenti, fin dall’inizio della mia inchiesta avrei senz’altro denunziato, senza tener conto anche della posizione sociale o di amicizie, chi della cosa pubblica ha fatto un privato interesse a danno della cittadinanza tutta. …
Il mistero che avvolge la scomparsa dei seggi – continua il dott. Desiderio – sembra impenetrabile, ma invece non è così, perché i responsabili dovrebbero essere facilmente individuati, in quanto:
1) la mole dei seggi non permetteva un trasporto facile ed agevole;
2) l’unica via di uscita era la porticina, fin troppo angusta, che dà tuttora nell’Ufficio dello Stato civile;
3) di notte era difficile trafugarli se non impossibile …
4) si pensò e si escluse che i seggi fossero stati scesi mediante la carrucola esistente nel soffitto del Comune …
5) né furono adoperati per il riscaldamento dei locali del Comune… perché il furto è avvenuto in un periodo in cui il riscaldamento era finito, data la primavera inoltrata.
In conclusione
Il furto è avvenuto, i colpevoli vi sono, dico colpevoli, perché bisogna tener conto che a questa impresa losca abbiano preso parte diversi individui, sia essi appartenenti al Comune, sia estranei.
Le autorità competenti hanno il dovere di far luce su quello che sembra un mistero, che invece non è, senza tenere conto di nessuno e colpire inesorabilmente chi della cosa pubblica ne fa uno scempio”.
La relazione del dott. Desiderio, una volta conosciuta dal Consiglio Comunale determinò la nomina di una Commissione d’inchiesta composta dallo stesso dott. Giovanni Desiderio, dal dott. Antonio Gallucci, farmacista, e dal dott. Raffaele Mauri, Giudice Conciliatore, la quale nei mesi successivi interrogò vari dipendenti comunali e non solo.
Come già detto, la documentazione fornitami è di certo incompleta, ma, comunque, contiene i verbali con le dichiarazioni rese davanti alla Commissione d’inchiesta da alcuni dipendenti comunali: Gaetano Vaccaro (giardiniere), Vincenzo Montella (operaio Villa comunale), Orazio Ruggiero (operaio), Giuseppe Giordano (bidello), Carmine Gaito (operaio), Mario Santolo Gallo (fontaniere; il quale è il più deciso nel sostenere che era impossibile che i seggi fossero stati bruciati dagli operai per liquefare l’asfalto), Gennaro Vitolo, Alfonso Conte (capo operaio), Rosario Santalucia (impiegato avventizio).
Tutti gli interrogati dichiarano di non sapere nulla dei seggi consiliari; l’unica testimonianza più interessante è quella del sig. Vincenzo Montella, che sfiora il ridicolo quando afferma di essere andato più volte nel soffitto, ma: ”non ricorda se vi erano i mobili, dato che io sono orbo di un occhio”.
Il Sig. Montella rievoca, poi, un episodio non direttamente collegato alla vicenda dei seggi, ma abbastanza significativo: “Ricordo che un giorno, nel 1944 o 1945,dovetti trasportare un carretto carico di legna per ardere, unitamente a mio cognato Gaetano Vaccaro, presso il Sig. Liborio Vitiello; detta legna fu prelevata nel locale ove è la stufa (nel fossato). La legna stessa era rappresentata da lunghi pali tondi e grezzi”.
Questo episodio è successivamente confermato alla Commissione dallo stesso Sig. Liborio Vitiello (originario di Pompei e titolare di un panificio a Via Zurlo, dove oggi si trova “La Casa del Pollo”, n.d.r.): “Ho pagato 300 lire al Sig. Gaetano Vaccaro per l’acquisto e la consegna della legna!”
Oltre ai verbali degli interrogatori, nel fascicolo vi è un appunto di uno dei membri della Commissione riferito all’operaio Vincenzo Montella: ”1) un giorno fu sorpreso da un vigile mentre trasportava dei marmi su di un carrettino verso Via Concili. I marmi furono restituiti; 2) Montella ha trasportato qualcosa anche a casa di Scoppa (probabilmente il dipendente comunale Giuseppe Scoppa, n.d.r.)”.
Tra i documenti avuti in visione da Raffaele Mauri non c’è altro sulla vicenda né so se è possibile consultare ad Angri o altrove ulteriori atti: lascio l’incombenza agli storici e agli studiosi. Se, però, qualcuno dei nostri concittadini più anziani volesse fornirci altre notizie o, meglio ancora, la continuazione e il finale di questa brutta storia, accaduta poco meno di 70 anni fa, gliene saremmo veramente grati.
Nel frattempo, speriamo che oggi per noi sia più facile conoscere almeno la verità su dove siano andati a finire, tutti o in parte, i cipressi proditoriamente abbattuti quest’anno nel Cimitero di Angri.
Luigi D’Antuono