La città di Nocera Inferiore, oltre a dare l’indicazione toponomastica all’amena piana attraversata dal fiume Sarno ed essere sede di una delle più antiche diocesi del mezzogiorno, vanta una plurisecolare origine e una nobilissima storia.
San Prisco, Santo Patrono, fu il suo primo Vescovo e visse verso il III-IV sec. La sede vescovile fino al 1260, anno della sua soppressione, fu il Battistero paleocristiano di Santa Maria Maggiore, situato nel territorio dell’attuale Nocera Superiore. Oltre un secolo dopo, nel 1386 Papa Urbano VI la ripristinò designando frà Francesco, Superiore del convento di Sant’Antonio, a Pastore della diocesi. Da allora il Vescovo ha sempre avuto la sua sede nel Vescovado.
Benché la vicinanza della più rinomata Pompei, custode di un inestimabile e unico patrimonio archeologico e quindi, storico, abbia sempre polarizzato l’interesse degli studiosi, innumerevoli sono gli scritti e le citazioni che riguardano Nocera. Da illustri poeti, filosofi e storici del passato come Tito Livio, Tacito, Plutarco, Virgilio e Cicerone, a eminenti prelati, tra cui ben due vescovi della nostra antichissima Diocesi (Mons. Simone Lunadoro e Mons. Raffaele Ammirante), fatti, cronache o semplici leggende sono state trascritte, commentate e interpretate.
Secondo gli storici la fondazione di Nocera è da attribuire agli Oschi; queste genti, di razza giapetica, scesero in Italia attraverso le Alpi intorno al 2450 a.C. e furono fra i primi colonizzatori della valle essendo ancora intorno l’anno 1000 a.C. stabilmente stanziati a Pareti, nella località ancora oggi denominata Oschito.
Altri eminenti studiosi propendono per la tesi che vuole Nocera fondata nel 2453 a.C. da Pico, Re degli Etruschi, il quale, alla ricerca della figlia (Nocera, appunto!) e trovatola morta volle edificare la città affinché il suo ricordo fosse perpetrato nel tempo, lasciandovi alcuni Sabini ad abitarla.
Vero è che effettivamente gli Etruschi all’epoca si erano stanziati nell’Agro e, al di là di prove archeologiche, una delle più evidenti dimostrazioni sta proprio nel nome del fiume che lo bagna: il Sarno. Difatti, come non far caso all’assonanza con il più noto dei fiumi toscani, prima patria di quel popolo, che bagna Firenze: l’Arno!?
Circa l’ubicazione del nucleo originario del paese è opinione comune che si debba individuare nella zona di Nocera Superiore-Pareti; versione questa accreditata anche da vari ritrovamenti archeologici.
E’ comunque, indubbio che dalla sua fondazione fino alla caduta del feudalesimo e all’Unità d’Italia, Nocera abbia ricoperto un importantissimo ruolo nella storia dell’Agro, grazie soprattutto alla sua posizione, rilevantissima sul piano strategico; difatti, nei suoi pressi vi era la confluenza di tre antiche strade: la Popilia, la Domiziana e la Nocerina. Le prime due conducevano nel sud della penisola, mentre la terza mena tuttora per Castellammare di Stabia. Questa peculiarità del sito influenzò molto anche lo sviluppo dei traffici commerciali.
Alla vigilia delle guerre sannitiche la troviamo a capo della confederazione delle città della valle del Sarno e del Vesuvio. Diverse volte riesce ad avere la meglio contro i romani e capitolerà solo nel 307 a.C. dopo un lungo assedio.
A seguito di un trattato di alleanza, gode di una notevole autonomia per l’intero periodo del dominio romano; nel 280 a.C. conia addirittura delle monete federali per le città campane a cui era a capo, con l’iscrizione NUVKRINUM ALFATERNUM, da cui l’appellativo Alfaterna che conserverà fino alla caduta dell’impero romano (476 d.C.).
La fedeltà mostrata a Roma costerà la distruzione della città nel 216 a.C., ad opera di Annibale; Roma, riconoscente, assegnò ai nocerini il dominio di Atella in attesa di ricostruire la nuova Nocera che appellarono, in seguito, CONSTANTIA.
Gli appellativi ALFATERNA e CONSTANTIA derivano rispettivamente dalla presenza in Nocera di una tribù sannitica nel 333 a.C. e da un riconoscimento che i romani vollero tributare alla città per essergli rimasta fedele durante le guerre puniche.
Con l’espansione dell’impero romano l’Agro conosce un lungo periodo di pace turbato solo da vari terremoti e dalla spaventosa eruzione del Vesuvio del 79 d.C. che seppellisce completamente Pompei ed Ercolano fino al punto di cancellarne anche il ricordo.
Alla caduta dell’Impero romano i primi barbari che si insediano nelle sue contrade sono i Goti.
Nel 552 Teia, re degli Ostrogoti, s’impadronisce della città adibendola a suo quartier generale.
Nel 553 i bizantini vincono i Goti in una battaglia presso Angri e Nocera diviene dominio greco.
Nel 568 è la volta dei Longobardi che la saccheggiano distruggendo definitivamente le antiche vestigia romane. Questi barbari, introducono un nuovo ordinamento, erigendo Nocera in Contea alle dipendenze di Benevento, sede del loro Principe.
Nell’816 fallisce un tentativo di scissione da Benevento da parte del Conte Dauferio. Dopo qualche tempo il dominio di Nocera passa ai Conti longobardi di Salerno.
Nel 1087, estinto il dominio Longobardo a Salerno, la città passa sotto la giurisdizione del Principe di Capua, Guglielmo. In seguito Ruggiero II il Normanno, Re di Sicilia, durante le guerre fra Svevi e Normanni, la rade al suolo nel 1137, dopo ben quattro mesi di assedio; Giordano di Capua diviene Signore di Nocera.
In questo periodo, a causa di continue lotte, diversi nocerini scelgono la via dell’esilio andando a stabilirsi nei casali e nei paghi limitrofi che, con il tempo, diventano piccole città anch’esse (Angri, Corbara, Scafati e le contrade dell’attuale Nocera superiore).
Nel 1240, durante il dominio normanno, Federico I dona in feudo Nocera a Guidone Filangeri per remunerarlo dei servizi resi alla corona.
Gli Angioni, divenuti nuovi regnanti (1266-1435), soggiornano spesso nel castello di Nocera. La sua possente mole ospita il Boccaccio nel 1357 e Papa Urbano VI nel 1385. Quest’ultimo vi si rifugia durante lo scisma d’Occidente e vi imprigiona, torturandoli, sei cardinale che favoriscono l’antipapa Clemente VII. In questo periodo è Signore di Nocera il celebre Niccolò Acciaiuoli e la città è appellata CHRISTIANORUM.
Con l’avvento degli Aragonesi sul trono di Napoli il feudo passa agli Zurlo, poi ai Loffredo e infine ai Carrafa.
A partire dal sec.XV Nocera è chiamata PAGANORUM e fino ai giorni nostri non si è ancora completamente perso l’uso di questo appellativo.
Frattanto la rivoluzione di Masaniello (1647-48) acuisce i contrasti sociali già esistenti mentre, nel 1656 una paurosa epidemia di peste si propaga in tutto l’Agro mietendo migliaia di vittime.
Nel 1758 viene ultimata la costruzione di una grande caserma, voluta da Re Carlo di Borbone, dove si stanzia un Reggimento di Cavalleria. Nonostante la presenza in Nocera di questo grosso presidio militare, la città partecipa attivamente alle vicende del 1799 e diviene sede di varie sette massoniche e carbonare nel periodo preunitario come quella fondata da Costantino Amato intitolata “I figli del Monte Albino”.
Parallelamente fa la sua prima apparizione il fenomeno del brigantaggio, spesso strumentalizzato per motivi politici. Difatti, nei moti del 1799 agiscono spietatamente in Nocera contro i patrioti della Repubblica Partenopea delle bande inquadrate dal Cardinale Fabrizio Ruffo.
Non mancano, tuttavia, dei briganti “originali”! Domenico Celentano, detto “codino di cane”, nativo di Tramonti, ma Cavese d’adozione, nel 1810 compie in Nocera le scorribande più audaci.
Frattanto, il presidio militare, mantenuto in vita da una guarnigione francese, viene visitato da Gioacchino Murat il 27 luglio 1815.
Nel 1844 viene realizzata una strada ferrata che la collega con Portici e Napoli e nel 1851 acquisisce l’attuale denominazione di NOCERA INFERIORE e SUPERIORE (pur essendo già Comune dal 1809).
Con l’annessione al Regno d’Italia, avvenuta con il plebiscito del 21 ottobre 1860, la città conosce un brevissimo periodo di calma, interrotta dopo soli due anni dal nuovo brigantaggio, capeggiato dai fuoriusciti dell’esercito borbonico. Durante il solo 1862 si registrano consistenti movimenti di truppe per contrastare il fenomeno non solo a Nocera, ma anche negli abitati di San Lorenzo, Corbara, Tramonti e Angri.
Rientrato in una fase endemica il fenomeno del brigantaggio, la cittadina torna ad essere tranquilla e dai 14.507 abitanti del 1813, si passa ai 20.070 del 1871 e a ben 3.382 in più dieci anni dopo, registrati nei censimenti voluti dal Governo. E fino al settembre 1943, quando i Tedeschi in ritirata si scontrano con gli Alleati provenienti da Salerno, la città non sarà più teatro di lotte armate.
Giancarlo FORINO
Associazione PanacèA