Il calo delle nascite, fenomeno rilevante soprattutto nel Nord si è diffuso anche al Sud fino a diventare un’emergenza sociale. Ma quando inizia il declino? Sicuramente a seguito del calo costante e continuo dei matrimoni, dal 1974, data del referendum abrogativo sul divorzio che si accompagna ad un cambiamento radicale nella coscienza collettiva sia nell’idea di matrimonio sia nei comportamenti riproduttivi. Se quindi i figli fuori dal matrimonio erano nel 1960 solo il 2%, oggi questi rappresentano il 17% con picco fino a 35% – 40% nelle regioni del Nord. Negli anni ’80 la famiglia è già profondamente cambiata e questo cambiamento ha caratteristiche strutturali e non transitorie. La diminuzione del numero dei matrimoni è correlata al calo delle nascite. Nell’anno 1973 il numero di matrimoni in Italia è 418.000, nel 2000 scende a 250.000 e si registrano, nell’arco dei trent’anni circa 350.000 nascite in meno all’anno. Il tasso di natalità, cioè il numero medio di nascite in un anno ogni mille abitanti, era nel 1973 -1975 pari a 15,8 mentre oggi il tasso medio, incluso l’apporto degli immigrati è di 9,7. Nell’ultimo censimento del 2011 le famiglie numerose (cinque persone o più componenti) passano dal 21,5% del totale al 5,7%. Aumentano le famiglie unipersonali che passano dal 12,9 al 31,1%. Quasi una famiglia su tre risulta composta da un’unica persona per effetto di profondi mutamenti socio-culturali quali l’invecchiamento della popolazione (si vive più a lungo), l’aumento delle separazioni e dei divorzi. Il numero dei figli per donna registra nel 2015 una ulteriore flessione che porta l’indicatore a 1,3.
Attualmente 30 nuclei su 100 non hanno figli mentre 35 nuclei su 100 hanno un solo figlio. Altra caratteristica della famiglia attuale è l’invecchiamento della persona di riferimento del nucleo familiare, costituita nel 73,7% dei casi da capo famiglia con età superiore ai 45 anni. Solo una persona su tre è il riferimento del nucleo con età minore a 45 anni.
Se è vero che concause sono da individuarsi nella insufficienza di servizi per la prima infanzia, nell’aumento dei costi di mantenimento dei figli, nell’ingresso massiccio delle donne nel mondo del lavoro e delle carriere, è anche vero che c’è stata una trasformazione del modello culturale prevalente per cui le aspirazioni individuali e la ricerca del benessere sono diventati obiettivi prioritari. I figli, di conseguenza, non rappresentano più l’obiettivo della convivenza e la famiglia è sempre più costituita da coppie senza figli, per scelta. In passato i figli erano un investimento per il futuro e forza lavoro per la famiglia.
Oggi non si pensa più di realizzare se stessi attraverso i figli o di vedere in un figlio una forma di sostentamento o risorsa su cui contare. Non esiste quindi più “la” famiglia ma nuove e diverse tipologie di famiglia anche per effetto del superamento della biologia della riproduzione naturale con la biologia della fecondazione assistita.
Quali saranno le conseguenze di questo profondo cambiamento demografico della famiglia? La popolazione tra i 20 e i 40 anni è quella a cui affidiamo il rinnovo della società, sia nella produzione dei beni e dei servizi, sia nella creazione e diffusione delle innovazioni. In questa fascia d’età sono maggiori la mobilità, il senso dell’intrapresa, la volontà di affrontare il rischio, la possibilità riproduttiva e l’energia necessaria per investire nella crescita dei figli e nella carriera lavorativa. Se a questa fascia d’età però non viene data l’opportunità di realizzare e accrescere le proprie potenzialità ci sarà inevitabilmente un impoverimento di tutta quanta la società. Possiamo già parlare di catastrofe generazionale in quanto tutte le cosiddette politiche attive a sostegno delle responsabilità familiari e dell’inserimento lavorativo ( ad esempio il programma Garanzia Giovani) hanno rappresentato solamente degli ammortizzatori sociali non apportando nessuna sostanziale modifica dell’attuale tendenza: basti pensare che il 68% dei giovani italiani tra il 25 e i 30 anni vive ancora a carico del nucleo genitoriale ( contro il 13% dei britannici) (dati ISTAT) a causa soprattutto del difficile inserimento nel mercato del lavoro indipendentemente dal titolo di studio posseduto oltre che per le retribuzioni troppo basse e a causa dei contratti riferiti a posizioni lavorative instabili, tali da non consentire l’acquisto di una casa o il pagamento di un fitto in autonomia dalle famiglie.
Nell’agro nocerino la situazione sembra piuttosto peggiorata per il perdurare della crisi economica nel Mezzogiorno d’Italia e per la mancanza di prospettive di sviluppo di tutta l’area.
Tab. 1 – n. abitanti anno 1991 e bilancio demografico anno 2003 e anno 2014 nei Comuni di Nocera Inferiore, Angri, Pagani, Scafati, Sarno
Confrontando i dati relativi alla popolazione residente nei maggiori comuni dell’agro si registra nella città di Nocera Inferiore un vistoso calo demografico mentre gli indici di natalità, indipendentemente dal numero di residenti, subisce in ogni comune un calo evidente, anche nella città di Scafati che vede crescere il numero di abitanti ma che registra una diminuzione del tasso di natalità di ben tre punti percentuali. Cresce invece il numero delle famiglie, dovuto all’ aumento dei nuclei costituiti da una sola persona a causa di separazioni e divorzi o perché si tende lasciare la famiglia di origine e a vivere da soli o in convivenza senza generare figli; da tener presente anche la numerosa presenza di famiglie unipersonali costituite in prevalenza da residenti immigrati. Si registra ulteriormente il numero dei componenti per famiglia che in media non supera le tre persone per nucleo.
Tab. 2 – Indice di natalità per 1.000 abitanti nei Comuni di Scafati, Angri, Sarno, Nocera Inferiore e Pagani
nell’anno 2002 e nell’anno 2015
Dalla tabella n. 2, confrontando i dati con quelli relativi alla tabella n. 1, si evince che dal 2014 gli indici di natalità sono stazionari o ulteriormente in decremento soprattutto a Scafati, passando dal 10,1 all’8,8.
Nicla Iacovino